Affitta cuori.

Perché volete entrare nella vita di una persona se poi non volete restare?

Pretendete persino il posto migliore, il cuore. Forse siete confusi e scambiate tutto ciò come delle camere d’albergo o di un semplice B&B. Soggiornate per un po’, non potete permettervi di più, e allora andate via. Prima, però, senza dimenticare di lasciare una recensione. “Sono stato bene, posto tranquillo e alla mano, ma…”. E allora succede che i rapporti non sono più rapporti e interazioni, non ci si conosce per il piacere di scoprirsi, condividere, arricchirsi. Vogliamo solo ricevere, ricevere per poi abbandonare tutto e giudicarlo, come un Tripadvisor delle relazioni. Una, due o cinque stelle. Lasciate perdere, se non sapete godere del viaggio, restate a casa. Restate nel vostro involucro di carne. Non calpestate i cuori.

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Voglio un amore fatto di anima.

Voglio un amore che sia libero. Libero da ogni pregiudizio, libero da ogni paura, insicurezza, diffidenza. Un amore che non lega, senza possesso. Un amore che ti renda, semplicemente, te stesso. Senza più voglia di scappare, di sentirsi inadatti, fuori luogo. Un amore che sappia renderti più buono, che sappia aprire la tua mente, che sappia farti vedere cose nuove con gli stessi occhi di sempre. Un amore che sappia darti di più, senza cambiarti.

Un amore senza voglio.

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Una fatina con le scarpe smeraldo.

Avrei voluto essere una piccola fatina, più piccola di Trilly, invisibile, e viverti accanto. Una fatina minuscola, dai capelli rossi e le scarpette smeraldo.

Avrei voluto ascoltare ogni tuo sospiro quando qualcosa non andava per il verso giusto e vedere con quale forza riprendevi il percorso per continuare lungo la tua strada.

Avrei voluto essere sempre lì, accanto a te, mentre tu eri ignaro della mia presenza. Mi sarebbe piaciuto, sai?

Una fatina che legge i pensieri.

Sorridere per una tua battuta, arrossire per un tuo pensiero un po’ intimo, scuotere la testa per la tua finta presunzione e sicurezza che ti ho sempre invidiato.

Sapere cosa pensavi di me, realmente, quando ti prendevo in giro, quando ti svelavo la parte di me più giocosa, quando mi prendevo cura di te con piccoli gesti, quando eravamo gomito a gomito in silenzio, quando portavo i capelli dietro l’orecchio. Cosa pensavi davvero?

Avrei voluto essere una piccola fatina.

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Ci siamo incontrati in un giorno d’estate.

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Ci siamo incontrati in un giorno d’estate ormai inoltrata. Quando la stagione è ormai stabile, stabile lo ero anch’io. La calma e la pace che non pensavo più di trovare. Mi sono sempre sentita, in qualche modo, piccola e accarezzata da uno sguardo spensierato e buono. In quegli occhi che ho sempre guardato chiedendomi di che colore fossero. Perché non ho mai saputo dare una risposta certa, né ai tuoi occhi, né a te, né ai giorni che passavano. Ci siamo incontrati in un giorno d’estate, non abbiamo accarezzato onde, il sole non ci ha mai baciato, le nostre orecchie hanno ascoltato la stessa musica e le gambe hanno seguito lo stesso ritmo. Era un giorno qualunque, ma era il nostro.

Occhi vortice.

Sono senza parole. Sono a terra, con le gambe piegate e le ginocchia nude sul pavimento freddo. Osservo le crepe tra una mattonella e l’altra, paragonandole a quelle del mio cuore. Sorrido, pensando alla storia delle crepe riempite con l’oro, ora hanno una storia e quindi più valore. Vorrei crederci davvero a questa storia, ma sento che è ancora presto per me. Sento che non ho voglia ancora di rialzarmi, ho bisogno di restare ferma, di restare in silenzio, senza parole. Quiet&Still. Come quando ti arriva di colpo il vento in faccia, non te lo aspetti, e non sai come tener calmi i capelli. Voglio restar ferma, attaccata e salda, osservare il tutto aspettando una soluzione che arriverà, lo so. La tempesta finirà, il mare si calmerà, i tuoi occhi non saranno più un vortice in cui sento di annegare, per me.

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Ragazza mare.

C’era una volta una ragazza dai lunghi capelli rossi e ricci, la pelle chiara e gli occhi color malinconia. Fissava il mare, come se venisse da lì. Si sentiva fuori luogo su quella strada tutta curve e asfalto nero. Lei fissava il mare, la scogliera in penombra e i pezzi di luna che fluttuavano sul mare scuro. Pezzi di luna come specchi rotti, come i suoi pezzi di cuore che provava sempre a rimettere insieme. Ogni volta, sembrava di nuovo ricomposto, sembrava un cuore nuovo, ma tra le fessurine dei pezzi incollati, mancavano piccoli frammenti, persi tra una rottura e l’altra. Guardava quel mare, tanto bello quanto doloroso. I suoi occhi ammiravano uno spettacolo della natura, scenari che soli in pochi luoghi puoi ammirare. I suoi occhi erano sempre incollati lì. Mare, scogliera, pezzi di luna, fari in lontananza. Distogliere lo sguardo da cotanta bellezza le sembrava un peccato mortale, di quelli che, un forte fedele, appena commette peccato, fa il segno della croce e prega il suo Dio supplicando perdono. Non avrebbe mai avuto il coraggio di guardare altrove. Riuscì solo ad alzare lo sguardo un po’ più su. Una mezza luna, chiara come la sua pelle. Le sembrava quasi un sorriso. Molti poeti guardavano la luna pensando alla donna amata. A lei sembrava il sorriso di un uomo. Un sorriso sicuro di sé, bello come pochi, che tutti potevano ammirare, lì su. Aveva gli occhi cerulei e capelli neri, come la notte. Voleva accarezzargli la guancia, allungò la mano, ma la luna era troppo lontana. Quel sorriso era inarrivabile. O, semplicemente, non era per lei. Riportò il braccio steso lungo il fianco, strinse la mano in pugno. I suoi occhi si inumidirono e i capelli rossi iniziarono a svolazzare ribelli intorno alla sua testa. Gli  occhi le diventarono mare, la sua pelle diventò sabbia e i suoi capelli reti dei pescatori. Si era trasformata nel suo elemento. Il vento portava con sé un odore di freddo e i suoi occhi si incresparono fino a diventare agitati. L’anima di quella ragazza era tormentata. Le barche dei vecchi pescatori dondolavano impazzite. Riconosceva quell’odore di freddo che aveva sentito solo da lui. Lo amava, perché quell’odore portava l’arrivo di lui. L’anima di quella ragazza era un mare in tempesta. Vide gli specchi di una lampara fluttuare su di sé e si arrabbiò quando si rese conto che non erano quelli della mezza luna. Era solo una lampara. Faceva male. Quando vide uscire la mezza luna da dietro una nuvola si calmò, lentamente. Quei pezzi di luna fluttuavano su di lei e le piaceva giocare con loro. Le davano serenità.
Si rese conto che l’amore era lì, tra una mezza luna e il mare di notte. Potevano ammirarsi e toccarsi anche se lontani.

Potevano persino amarsi.

 

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